Natale in Casa Artusi

Data
Assaggi di Storia
Storia culinaria

Secondo Artusi, la “Festa di Natale” deve comprendere gli immancabili “Cappelletti all'uso di Romagna”, ovviamente in brodo, seguiti dai “Crostini di fegatini di pollo”, poi dal “Cappone, con uno Sformato di riso verde”, a seguire un elaborato “Pasticcio di lepre”, un arrosto di “Gallina di Faraone e uccelli”. Infine si chiude con i dolci: “Panforte di Siena” “Pane certosino di Bologna” accompagnati da “Gelato di mandorle tostate”.

Non c’è da stupirsi che Artusi scelga due dolci da taglio molto tradizionali, ricchi di frutta secca e canditi, ma non troppo lievitati (il panforte per nulla, considerato che non c’è farina nell’impasto), anzi densi, pesanti e bassi: pani dolci dalla forma schiacciata, tipici delle feste natalizie. Oggi sono quasi interamente sostituiti dagli onnipresenti panettoni e pandori, ma resistono in forme regionali come il panone, il panpepato, il pandolce, il pane di sapa e così via. Variamente decorati con zucchero e canditi colorati, fino a un paio di generazioni fa rappresentavano il dolce natalizio per eccellenza, ma ormai sembrano avere perso il loro antico fascino.

Ancora più interessante, il fatto che l’autore non riporti né la ricetta del panforte, né quella del certosino, due specialità che evidentemente avevano un loro mercato e si trovavano comunemente in commercio, pertanto il consiglio (implicito) dell’Artusi è di andarli a comprare. L’unico accenno all’interno della Scienza in cucina al panettone milanese lo troviamo nella ricetta del “Panettone Marietta” dedicato alla cuoca fedele: «È un dolce che merita di essere raccomandato perché migliore assai del panettone di Milano che si trova in commercio, e richiede poco impazzamento».

Sicuramente la lavorazione richiesta è molto meno complessa del panettone, visto che si tratta di una torta piuttosto comune che utilizza cremor tartaro e bicarbonato per la lievitazione, ovvero ciò che oggi conosciamo come “lievito istantaneo per dolci”. Chi ha qualche dimestichezza con la realizzazione del panettone saprà che le fasi di impasto, lievitazione e riposo devono seguire precise regole, è necessaria una farina “forte” in grado di sviluppare molto glutine e tutte le operazioni richiedono temperature controllate, altrimenti è impossibile raggiungere la tipica sofficità del classico panettone. L’impasto di base non appartiene alla tradizione italiana, ma a quella francese, si tratta infatti di una variante della brioche, un tipo di dolce che affonda le radici nelle sperimentazioni dei pasticceri d’oltralpe a metà Seicento e si è sviluppata fino a diventare uno degli oggetti più golosi e desiderati d’Europa. Mentre i pasticceri italiani si specializzavano nella produzione di frittelle, biscotti e torte, quelli francesi sperimentavano un metodo di lievitazione in più stadi, sfruttando le potenzialità date dal lievito di birra.

Il vero successo dei grandi lievitati italiani inizia solo con l’avvento delle prime lavorazioni industriali, dove tutti i passaggi potevano essere controllati con precisione millimetrica. Le ricette degli impasti per le brioche erano già ampiamente conosciuti e utilizzati in Italia quando Domenico Melegatti inventa il suo pandoro che, fin dall’inizio, presenta notevoli difficoltà tecniche, richiedendo diversi cicli di impasto e riposo a temperature controllate e infine una particolare cottura per cui lo stesso pasticcere progetta uno speciale “forno a calore continuo”. Il successo lo ripaga ampiamente degli sforzi, tanto che nel 1894 ottiene una “privativa”, ovvero una sorta di brevetto che lo mette al riparo dalla concorrenza.

Non è molto diversa la storia di Angelo Motta che nel 1919 mette a punto il suo celebre panettone milanese alto e soffice, rivisitandone la classica ricetta. Del 1925 è l’apertura del primo negozio in galleria Carlo Alberto, mentre alla fine anni ‘30 inaugura il primo stabilimento che lo lancerà definitivamente nell’empireo dell’industria dolciaria italiana.

A quel punto la ricetta ha raggiunto un livello di complessità tale che la rende quasi impossibile da replicare nelle cucine di casa, ma nonostante tutto le massaie non si danno per vinte e si rivolgono agli esperti del settore per ottenere il segreto di un dolce così amato. All’ennesima richiesta, Amedeo Pettini, Capo cuoco di casa Savoia, nonché columnist della rivista La Cucina Italiana, risponde così alle insaziabili lettrici del numero di agosto 1939: «…dovrei rispondere a molte abbonate che mi domandano la ricetta del Panettone alla Milanese. L'ho data varie volte: ma debbo riconoscere che sempre le richiedenti mi hanno scritto per confessare che non erano riuscite ad ottenere un panettone simile a quello Motta. La cosa è ovvia. La grande Casa Motta, di Milano, ha una tradizione gloriosa, ed è riuscita a fare del suo panettone (come di tutte le sue specialità, del resto) dei veri capolavori. La miglior cosa che una signora possa fare, se le preme la sua reputazione di donna di buon gusto, è di imparare a cucinar bene tanti buoni piattini per suo marito, ma, quando si tratta del Panettone... comprare quello Motta».

Insomma, fare il panettone in casa non è alla portata di tutti, per cui vi lascio con la collaudatissima ricetta del panettone Marietta di Artusi. Non sarà la stessa cosa, ma vale la pena provarlo

604. Panettone marietta

La Marietta è una brava cuoca e tanto buona ed onesta da meritare che io intitoli questo dolce col nome suo, avendolo imparato da lei.

Farina finissima, grammi 300.

Burro, grammi 100.

Zucchero, grammi 80.

Uva sultanina, grammi 80.

Uova, uno intero e due rossi.

Sale, una presa.

Cremor di tartaro, grammi 10.

Bicarbonato di soda, un cucchiaino, ossia grammi 5 scarsi.

Candito a pezzettini, grammi 20.

Odore di scorza di limone.

Latte, decilitri 2 circa.

D'inverno rammorbidite il burro a bagnomaria e lavoratelo colle uova; aggiungete la farina e il latte a poco per volta, poi il resto meno l'uva e le polveri che serberete per ultimo; ma, prima di versar queste, lavorate il composto per mezz'ora almeno e riducetelo col latte a giusta consistenza, cioè, né troppo liquido, né troppo sodo. Versatelo in uno stampo liscio più alto che largo e di doppia tenuta onde nel gonfiare non trabocchi e possa prendere la forma di un pane rotondo. Ungetene le pareti col burro, spolverizzatelo con zucchero a velo misto a farina e cuocetelo in forno. Se vi vien bene vedrete che cresce molto formando in cima un rigonfio screpolato. È un dolce che merita di essere raccomandato perché migliore assai del panettone di Milano che si trova in commercio, e richiede poco impazzimento.

Luca Cesari

Storico della gastronomia