Carteggio

Trevisan Francesco | 25/12/1906 | n.1663

Lettera | Veneto

Trascrizione CCM

Povolaro [VI] s. d. [ma Natale 1906]

Stimatissimo sig. Pellegrino,

anche quest’anno Ella mi ha prevenuto; ed io, oltre a questo torto, ho anche l’altro, di essere ritardatario impenitente. Ho dei grattacapi, né sono senza acciacchi, i quali minacciano di aumentare; anzi, per quest’ultimo capo, Ella, come argomento dalla sua lettera brillante e sparsa di grazie toscane e del suo spirito arguto, è a molto miglior partito di me: mi scusi, adunque e accolga i miei augurii, perché la provvidenza la conservi per molti anni ancora nello stato di salute fisica e intellettuale, in cui si trova ora. Ad ogni modo rassegniamoci, senza fremiti, al destino, che ci sarà apparecchiato. Venendo ora al dirle l’animo mio, schiettamente, come Ella mi chiede, premetto che da Lei sono tenuto in troppa alta stima. La ringrazio della sua buona opinione, ma glielo dico sincerissimamente, non la merito: anzi, s’io guardassi innanzi a me il numero degli studiosi, che ora onorano l’Italia nostra, mi sentirei nel massimo avvilimento; com’Ella, viceversa, guardandosi addietro trova di che consolarsi vedendo quanti si trovano in peggior condizione di salute e, forse, di valute, in confronto suo. Non dovrei quindi proferire giudizii; né certo il farò, dirò solo il mio pensiero. E parlando, anzi tutto, del massimo letterato, oso dichiarare che è stato troppo elevato. Pensiamo a Dante, al Tasso, al Galilei, al Foscolo e al Leopardi, vissuti, quasi, nella miseria; e quest’altro, oltre al dono nazionale, già assegnato al Manzoni, di 12 mila lire annue, or gode la piccola somma del premio Nobel, cioè 191.000 lire. È sommo, in vero nella critica, ma come poeta, poco inteso e gustato, vivrà come i sopraddetti? Mi duole, caro amico, che noi non potremo saperlo. Il Pascoli è un bell’ingegno, ma come poeta, non segue, certo, la tradizione patria, né io potei gustarlo mai. Il suo merito principale è di filologo, e come tale avrebbe dovuto succedere al Gaudino, latinista di grande valore. Ha letto Lei il discorso inaugurale del Pascoli a Bologna? Mi parve un esperimento di scolaro, e indegno della cattedra, sulla quale sedette il Carducci. Non dico nulla del Rapagnetta (D’Annunzio), ch’ella ha fotografato. Quegli è un ingegno delirante; ed io, leggendolo, fremo. Pure gli fanno l’apoteosi… Io, ricordo, a questo proposito, il detto dell’umanista Giusto Lipsio: «multi habent et multi merentur famam». Io sto, piuttosto, assai volentieri col Marradi, che è seguace della scuola italiana, e intende meglio l’arte nostra: giacché l’arte dev’essere nazionale, laddove la scienza è, per sua natura, universale. Così direi, presso a poco, dello Stecchetti, se, [fogli mancanti]

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