Maccheroni dolci (non solo) Messisbugo

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Assaggi di Storia

Nella storia dell’Emilia-Romagna, il ducato di Ferrara, in epoca rinascimentale, occupa un posto di riguardo, non solo per la contiguità dei territori ma per la cucina di una corte ricca ed ambiziosa. Il personaggio di rilievo che gestiva gli approvvigionamenti e le cucine, programmando i banchetti era Cristofaro di Messisbugo del quale, un anno dopo morte, furono pubblicati, nel 1549 a Venezia Banchetti e composizione di vivande, riedito nel 1552 con un altro titolo, più allettante, Libro novo. Venezia era la città in cui si stampavano i libri e da cui arrivavano le spezie, ingrediente prezioso e nobiliare. Messisbugo ne fruiva di una in particolare considerandola indispensabile: lo zucchero di canna. Era ben conscio che il suo costo ne limitava l’uso e prevedeva che “alcuno Gentil’uomo mezzano, che facesse il convito, potrebbe egli fare col terzo meno di zuccari e spitiarie, e ancora con la metà di dette robbe”. Per dare un esempio del suo uso, citeremo un tipo di pasta i maccheroni romaneschi creati da Maestro Martino da Como, nel 1450, alla corte dei Papi, a Roma. È diventato il simbolo della cucina popolare italiana, e all’origine Martino tirava una sfoglia, come quella delle lasagne, la avvolgeva intorno ad un bastone, la tagliava “larga un dito piccolo” e li metteva a cuocere nel brodo. “Et como sono cotti mittili in piattelli con bono caso <cacio>, et butiro, et spetie dolci.” Messisbugo ripete la ricetta affinando la sfoglia, composta da farina, mollica di pane bagnata in acqua rosata, uova e zucchero, tre once per cinque libbre di farina, procedendo poi come Martino. Ma questo non bastava, e li imbandirà con formaggio duro, grattato, “e zuccaro e cannella, e di sotto, e di sopra, e per mezzo.” Se l’occhio coglie questi budelli di pasta, i denti li tagliano e la bocca ne assapora la dolcezza che per Messisbugo è un valore ducale. Verrebbe ancora la voglia di assaggiarli? Ne troviamo una sfilza in Artusi: maccheroni alla bolognese, alla francese, alla napoletana e altri. Roma è dimenticata e l’uso dello zucchero bandito, a favore del pepe o della noce moscata, che pizzicano, che stimolano. Dovremmo forse farli rinascere, con quell’antico e eterno sapore, una sola volta, a fine pasto, afferrandoli con le dita e pensando a Messisbugo.

Alberto Capatti - Direttore scientifico Casa Artusi