La «Pizza alla napoletana» dolce di Artusi. Piccola storia di una variante gastronomica

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Storia culinaria

Artusi, si sa, accompagna le famiglie in cucina da generazioni e rappresenta un solido punto di riferimento per preparare molti piatti della tradizione. Pertanto lo apriamo alla voce «Pizza alla napoletana» e iniziamo ad assaporarne la fragranza, il profumo del pomodoro e la mozzarella filante.

Alla ricetta indicata troviamo però una torta con crema pasticcera, ricotta e mandorle. Di sicuro c’è un errore: controlliamo l’indice e torniamo sulla descrizione. Niente da fare, la ricetta 609 «Pizza alla napoletana» é proprio un dolce. Riponiamo il libro pensando che al vecchio Artusi piacesse parecchio il sangiovese e cerchiamo un tutorial su YouTube.

All’interno de La scienza in cucina e l’arte di mangiar bene ci sono anche altre specialità meridionali, dai maccheroni alla napoletana, a quelli con le sarde siciliani, fino ai babà e sono sempre estremamente precise e accurate, sia nelle descrizioni che nelle intestazioni delle ricette. Non si tratta di piatti inventati, ma di una raccolta di specialità ampiamente diffuse sul territorio a cavallo tra il XIX e il XX secolo. Apparentemente questo non succede per la pizza, ma si tratta di un nostro errore di valutazione. Per noi la pizza alla napoletana indica un preciso oggetto gastronomico, mentre all’epoca di Artusi era ancora diffusa solo a Napoli dove veniva preparata dalle poche pizzerie presenti in città.

La ricetta 609 descrive invece una delle tante altre pizze alla napoletana che circolavano sulle tavole e sui ricettari, la cui storia inizia molto tempo prima, in pieno Rinascimento. Il primo autore a fare riferimento esplicito alla pizza come specialità napoletana è Bartolomeo Scappi nel suo trattato del 1570 e, anche in questo caso, si tratta di una preparazione dolce. La ricetta si intitola «Per fare torta di diverse materie, da Napoletani detta Pizza» e descrive un sottile disco di pasta brisée ricoperto da una mistura di frutta secca pestata al mortaio -tra cui mandorle, pinoli, datteri, fichi secchi e uva passa- impastata con acqua di rose, zucchero, burro e tuorli d’uovo. Nonostante tutto doveva avere qualche somiglianza con la pizza attuale, grazie al bordo rialzato realizzato con pasta sfoglia arrotolata. Una volta cotta in forno poteva essere servita calda o fredda, a piacere.

Al momento della stesura della Scienza in cucina, la tradizione della pizza di Scappi era molto lontana, forse dimenticata, mentre il modello a cui fa riferimento Artusi proviene da un altro caposaldo della letteratura culinaria, ovvero la Cucina teorico-pratica del napoletano Ippolito Cavalcanti del 1837. La «Pizza doce» si trova nella seconda sezione del manuale dedicata alla «Cucina casarinola all’uso nuosto napolitano» interamente scritta in napoletano. Nella composizione sono indicate diverse varianti di ripieno e quella artusiana trova un precedente nella seconda parte che inizia con «Si po la vuò fa de recotta».

Come le altre ricette di questo capitolo, questa torta doveva essere molto diffusa in ambiente domestico e scegliere di stamparla all’interno di un manuale di cucina non era un’operazione scontata. Un tentativo di mettere in luce le tradizioni popolari che sarà replicato con un respiro più ampio dall’Artusi circa mezzo secolo più tardi.

Lasciamo qui di seguito la bella ricetta di Cavalcanti che, a differenza di quella di Artusi, non è così conosciuta, ma mantiene ancora un discreto appeal gastronomico nonostante l’età. Per chi volesse cimentarsi, faccia solo attenzione alle quantità degli ingredienti che dovrebbero essere almeno dimezzate per ottenere una pizza dalle dimensioni casalinghe.

Pizza doce. Pigliarraje no ruotolo de sciore, na mmità de nzogna, n’auta mmità de zuccaro, e 12 ova senza lo ghianco: mpastarraje poco poco chella pasta e farraje le pettole comm’a chelle de coppa, e dinto po nce metteraje le sceroppate, o l’amarene, o lo ghianco mangià, e la farraje cocere comm’a chella rustaca.

Si po la vuò fa de recotta, piglarraje no ruotolo e miezo de recotta, duje tierze de zuccaro, otto rossa d’ova, no poco de raspatura de cedro, o de limone: mmiscarraje buono buono tutte ste cose, nce le miette dinto, e farraje cocere la pizza comme t’aggio ditto.

[Pizza dolce. Prenderai un rotolo [corrisponde a 891 gr] di fior di farina, una metà [di rotolo] di sugna, un’altra metà [rotolo] di zucchero e 12 uova senza il bianco: impasterai un po’ quella pasta e farai delle sfoglie come quelle di sopra[ovvero una sfoglia tirata a matterello e inserita in una teglia unta di sugna] e dentro ci metterai le sciroppate o le amarene o il biancomangiare e le farai cuocere come quella rustica [ovvero coperta da una seconda sfoglia di pasta unta di sugna].

Se poi la vuoi fare di ricotta, prenderai un rotolo e mezzo di ricotta, due terzi [di rotolo] di zucchero, otto rossi d’uova, un po’ di raspatura di cedro o di limone: mescolerai bene tutte queste cose e ce le metterai dentro e farai cuocere la pizza come ti ho detto]

Luca Cesari, Storico della gastronomia

Luca Cesari

Storico della gastronomia