La cucina di Fellini

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Scuola di cucina - Il bello del fare

Da dietro un’ampia vetrata rigata dalla pioggia, una vasta, calda, sala da pranzo si presenta affollata, con tutti i tavoli occupati. Il maÎtre guida, con passi lenti, vagamente danzanti, il corteo di camerieri verso un’elegante signora seduta in compagnia di un giovane accompagnatore.

Dopo il saluto, il maÎtre inizia ad elencarle, con voce lenta e suadente, i piatti del menu: “consommé d’Orléans, soupe Colbert, gelée de bouillon, crêpe Walewska…” La signora, che con un gioco di sguardi sensuali, sta flirtando con il suo giovane commensale, lentamente si gira… “Rigatoni” sussurra seducente. “Ah!” è l’esclamazione, insieme sorpresa e compiaciuta del maÎtre. Quando si tratta -finalmente- di appagare il desiderio alimentato dal gioco della seduzione, non è tempo di elaborati brodini francesi; molto meglio la concretezza semplice di un bel piatto di pastasciutta.

Qualcuno avrà sicuramente riconosciuto da questa breve descrizione lo spot che Federico Fellini, nel 1985 girò per una nota marca di pasta. In quella pillola di un solo minuto sono condensati molti dei temi del cinema del maestro riminese; d’altra parte si tratta veramente di un piccolo film, curato in tutti i particolari, a partire dalla fotografia, la recitazione, la colonna sonora (di Nino Rota, ovviamente), persino il titolo.

“Alta società” dice molto anche della visione che Fellini ha del cibo, qui presentato come un piacevole modo di soddisfare un bisogno, un desiderio, fisico. In questa visione non si discosta tanto dal pensiero di Olindo Guerrini (e di Pellegrino Artusi) esplicitato chiaramente in una lettera indirizzata al padre della cucina italiana:

«Il genere umano dura solo perché l’uomo ha l’istinto della conservazione e quello della riproduzione e sente vivissimo il bisogno di soddisfarsi. Alla soddisfazione di un bisogno va sempre unito un piacere e il piacere della conservazione si ha nel senso del gusto e quello della riproduzione nel senso del tatto. Se l’uomo non appetisse il cibo o non provasse stimoli sessuali, il genere umano finirebbe subito[1]

Collegato, più o meno esplicitamente, al sesso o al piacere, il cibo per Fellini ha sempre una consistenza fisica spiccata; si pensi alla cena di Trimalcione del Satyricon (1969) o le cene in strada in Roma (1972) dove persone e cibi si affollano e quasi si confondono. Spesso è un cibo popolare, sostanzioso, umile come, ad esempio, la pajata, la trippa e le lumache (Roma, 1972) o le rosette con la mortadella che erano una sua passione.

La scelta dello chef Marco Frassante di proporre la pasta e fagioli è, sotto questo aspetto, del tutto azzeccata, tanto più pensando che si tratta di un piatto che Giulietta Masina (le Gelsomina de La strada, 1954), abile cuoca, preparava a regola d’arte a casa Fellini.

Il convivio di famiglia, che sia tra le mura domestiche (Amarcord, 1973), o per strada (Roma, 1972) è l’occasione -ghiotta- per Fellini per mettere in scena l’epifania dei caratteri e dei rapporti tra i suoi personaggi, e far emergere una dimensione sentimentale ed emozionale che ci rende caro il suo cinema e che la proposta dello chef Marco Frassante cercherà di farci rivivere.

Antonio Tolo, responsabile Biblioteca comunale di Forlimpopoli

e già Direttore organizzativo del Festival del cinema di Bellaria

Per approfondire ancora di più: https://www.youtube.com/watch?v=YAJIw2vz-vQ



[1] Olindo Guerrini, Lettera a Pellegrino Artusi, Bologna 8 gennaio 1898, Archivio Artusi