La cucina dell'amore

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Assaggi di Storia

Nel 1910 esce a Firenze la Cucina dell’amore, un ricettario afrodisiaco, il primo in un’Italia che guarda a Parigi e ai suoi spettacoli come alla patria di tutto quello che concerne sesso, sessualità, sessismo. Del resto, modello era Le manuel culinaire aphrodisiaque del Sire de Baudricourt, con le sue 130 ricette, a partire da un carré di montone “alla Conti” con i suoi “principi stimolanti: acciughe, pepe, basilico, serpentaria.” Era un modo nuovo di cucinare, con un pensiero che andava ben oltre gli effetti della degustazione, calcolando l’influenza della carne e del pesce sulla attività delle funzioni sessuali, e cercando anche in annali gastronomici cinquecenteschi una risposta che poteva dare un salmone alla vert-galant, epiteto quest’ultimo di Enrico IV. Il lettore fiorentino, italiano, vedeva in questa cucina francese lo stimolo ad una conversione che segnava l’abbandono della banalità regionali per una alimentazione costruita ed istruita dal modello universale francese. È difficile immaginare un manuale più antitetico di quello d’Artusi che si limitava a pregare “le Signore gentili e le brave Massaie, a cui specialmente è devoluta quest’ opera mia di non poca fatica e spesa, di studiarla con amore chè ne trarranno vantaggio; mi continuino esse il loro ambito favore e sarò pago.”. Forse, in una sola ricetta Artusi tradiva un implicito consenso ed era la 745, la conserva di rose con foglie, zucchero, mezzo limone ed un cucchiaino di colorante breton, introdotta dalla verginella “simile alla rosa” di Ludovico Ariosto. Volendo un raffronto, ecco l’ultima ricetta della Cucina dell’amore

Conserva di rose e di violette

Fate macerare per sette giorni i fiori nel vino. Togliete questa prima quantità di fiori e sostituitela con uguale quantità di fiori freschi, che lascerete in macero per altri sette giorni. Filtrate il vino in cui i fiori sono stati infusi, e quando vorrete berlo aggiungete del miele.

A chi si offriva l’assaggio? certo il calice poteva essere donato alla verginella artusiana e meglio ancora a fanciulle che sorseggiando quel vino per la prima volta non potevano far altro che sorridere e sentirsi pronte a rinnovare il proprio grazie, la propria grazia.

Alberto Capatti, Direttore scientifico Casa Artusi