L'Italia, una cucina di nonne e libertà!

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Il buono del sapere

Nel 2014 scrissi Artusi Remix, grazie all’aiuto del loro comitato scientifico. Ci conoscevamo da molto, ma avevo voglia di raccontare la cucina italiana e non più solo la cucina salentina e sapevo che l’unico modo per farlo era partire da lui: Pellegrino Artusi.

Provo a spiegare il perché dell’importanza della sua opera per un giovane punk prestato alla cronaca gastronomica.

Il progetto Food Sound System, sotto lo pseudonimo di DonPasta, nacque attorno al 2000, per raccontare la cucina di Nonna Chiarina, la sua focaccia di cicorie, della parmigiana gigante, degli asparagi selvatici colti davanti al mare. Vivevo lontano dal mio Salento e i suoi piatti mi mancavano atrocemente.

Da lei, imparai non a cucinare, ma che dietro ogni singolo gesto ci fossero millenni di comportamenti che l’essere umano fa con e per gli altri. Attorno al momento del cucinare se ne racchiudono tanti altri: il coltivare, il cacciare, il seminare, l’allevare il pescare, solo poi il cucinare ed infine l’offrire. C’è una traccia profonda, un codice culturale, un elemento identitario che ci aiuta a non dimenticare da dove noi veniamo e ci aiuta a leggere le cose degli altrove con uno sguardo più complesso. Attraverso la sua cucina, definivo il mio sud, in fondo.

Nonna Chiarina smise di cucinare poco dopo i novant’anni.

Decisi così di cercare cento e mille nonne in giro per l’Italia e il mondo per ritrovare quei gesti, quei profumi.

Non sapevo dove quella ricerca mi avrebbe portato. Avevo iniziato un po’ per gioco, osservando cucinare nonna ma quando arrivò la moda degli chef, mi dovetti porre una questione che divenne per me essenziale: cosa è la cucina? Un fatto tecnico o un fatto sociale? Come definiremmo poi una tecnica in cucina?

Ne esiste una, vecchia quanto l’origine dell’uomo: la cucina popolare è codificata e tramandata oralmente da gente che apprende attraverso la capacità di osservare, dedurre, trasformare. Nata da persone comuni, spesso analfabete, che si mettono assieme e codificano un piatto attraverso una convenzione e un canovaccio che ciascuno poi segue e rielabora, senza allontanarsene troppo. Esistono varianti di parmigiana tante quanti siamo in Italia. La stessa ricetta, ma ognuno a suo modo.

Ma nei ricettari, nelle tv, nei giornali, la cucina diventava il luogo dei precetti: ti dico come preparare il tuo piatto, dove comprare bene i tuoi prodotti, come produrre.

Ecco perché Pellegrino Artusi è importante. Perché in tutta la letteratura gastronomica italiana è l’unico che, con cognizione di causa, al contrario, lascia libero il lettore ed esecutore di cercarsi la propria strada.

Il lettore legge per immaginare e questo, Artusi, da ottimo scrittore, lo sapeva benissimo. Evitava quindi la prosopopea saccente, la fredda didascalia e il narcisismo edonistico che hanno caratterizzato la cronaca culinaria dell’ultimo secolo.

Lui, al contrario di chiunque altro, capì che non bisognava spiegare una ricetta, ma far vivere l’emozione che lui provava nel farla con Marietta ed assaggiarla. Questo percorso di immedesimazione del lettore, per l’apprendimento di un piatto, era più forte di qualsiasi pedante spiegazione dettagliata.

La forza di Artusi è stata questa: far emozionare.

Daniele De Michele, DonPasta