Breve storia degli spaghetti al pomodoro

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Il buono del sapere

Il mito delle origini. Breve storia degli spaghetti al pomodoro è il titolo del brillante saggio di Massimo Montanari, autorevole docente e storico dell’alimentazione, pubblicato nell’ottobre 2019 da Laterza e subito segnalato dalla stampa più attenta. La bravura dell’autore sta nell’aver condensato in cento pagine colte e piacevoli la lunga nel tempo ed estesa nello spazio vicenda del piatto italiano per eccellenza.

Nei ventitré agili capitoletti in cui si snoda il racconto c’è tutto: la Mesopotamia, la cultura gastronomica greca e romana, gli arabi, la pasta fresca e quella secca, Marco Polo e la Cina (si spiega che non c’entrano con quella storia), la Sicilia dei “mangiamaccheroni” che passa il testimone a Napoli, le mani e la forchetta, la scoperta del pomodoro in Messico e il pomodoro in salsa spagnola, il “pepe d’India” o peperoncino, il burro e l’olio d’oliva, l’aglio e la cipolla, il basilico. Non poteva mancare il ripetuto omaggio a Pellegrino Artusi – l’autore è anche presidente del Comitato scientifico di Casa Artusi –, il primo ad inserire nel suo celebre ricettario ben dieci ricette per condire gli spaghetti, allora considerati una specialità napoletana e divenuti poi simbolo della cucina italiana.

Ma gli spaghetti raccontatati da Massimo Montanari non sono “solo” gastronomia, si intrecciano alla storia, all’economia e alla società. E soprattutto ci insegnano ad allargare il nostro sguardo, a vedere il percorso di un piatto attraverso i secoli, a riconoscere i diversi apporti di altre culture, che solo alla fine di un lungo processo producono un’identità che naturalmente non era data in origine.

Perché da un libro così, che si legge con curiosità e interesse in poche ore, non fare una mostra? Bella idea, specie in coincidenza con le celebrazioni del bicentenario della nascita di Pellegrino Artusi, ma una mostra è essenzialmente un fatto visivo e ci vuole un artista all’altezza. La gastronomia poi è un tema difficile da trasporre con efficacia nel linguaggio dell’arte contemporanea.

Per fortuna l’artista c’è: è Luciano Ragozzino, l’ho conosciuto e apprezzato nella magica “officina” brianzola di Alberto Casiraghy, per le cui edizioni Pulcinoelefante ha realizzato le incisioni per oltre duecento volumetti. La sua ispirazione è mentale, cerebrale, con un approccio sempre ironico, talora caustico, e un segno essenziale in bianco e nero. Per gli spaghetti ha usato l’altra tecnica in cui è maestro, l’acquerello. Il risultato sono diciotto tavole più morbide delle acqueforti nel segno e godibili per il colore, ma sempre ironiche e puntuali nel fare da contrappunto grafico ai testi. Non illustra, inventa e le sue intelligenti metafore visive si imprimono nella mente “completando” le parole e costituendo il principale corpus iconografico mai ideato finora sulla storia degli spaghetti. Gli acquerelli sono poi stati riprodotti sotto la supervisione di Ragozzino in un formato più grande, adatto ad essere esposto, e raccolti in una cartella fuori commercio “per amici” stampata in soli otto esemplari. I visitatori della mostra hanno l’opportunità di apprezzare la sequenza delle immagini e di capirne il senso nelle articolate didascalie che le accompagnano, a cura dello stesso Massimo Montanari. Sono certo che poi guarderemo con altri occhi un bel piatto di spaghetti al pomodoro.

Andrea Tomasetig - Curatore mostra