Artusi e il suo progetto politico

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Il buono del sapere

Il progetto di Artusi non si limita all’obiettivo di scrivere un ricettario. Il suo è un progetto politico, che vuole essere un contributo alla costruzione della cultura nazionale italiana partendo dalla cucina e dagli usi alimentari. Per fare questo Artusi segue delle metodologie innovative: la prima quella di non basarsi sulla letteratura gastronomica precedente alla Scienza in cucina ma di lavorare direttamente sul campo con un approccio del tutto antropologico, andando a vedere, andando a scoprire come cucinano le persone nelle case, in quanto la cucina di casa è quella su cui Artusi pone la sua maggiore attenzione. La seconda grande innovazione artusiana è il rapporto che Artusi è in grado di istituire con il suo pubblico attraverso il servizio postale. Piazza d’Azeglio a Firenze, la casa di Artusi, indicata nel frontespizio dalla terza edizione del manuale, diventa un punto di raccolta e di smistamento postale che permette la maturazione di un rapporto diretto tra l’autore e i lettori. Artusi diventa l’epicentro in cui far arrivare centinaia di lettere da tutta Italia (e non solo) con richieste di chiarimenti, suggerimenti e proposte di nuove ricette da aggiungere alla sua opera gastronomica. Questo è uno dei principali motivi che porta il suo libro dal 1891 al 1911 con le sue 15 edizioni, ad arricchirsi di nuove ricette, a integrarsi di nuove differenze gastronomiche, rendendo ciascuna edizione diversa dalle precedenti. In questo modo La Scienza in cucina non è solo più scritta per gli italiani ma diventa l’opera scritta con gli italiani, da una comunità che diventa co-autrice e protagonista, seppur filtrata da un autore che possiamo definire a tutti gli effetti il primo food blogger della storia. Sarà proprio questo carteggio e questa corrispondenza ad aver permesso nella concretezza quotidiana la condivisione su scala nazionale di usi gastronomici locali, che sono dunque scelti localmente ma che vengono proposti a un pubblico finalmente nazionale. Uno scambio di saperi e di usi non solo gastronomici ma anche linguistici, come accade nel caso della lettera n.1386 dal Friuli-Venezia Giulia della signora Padernelli Luisa che scrive: “Senta: qui non conosco il regamo e la nepitella. Deve essere una piantina sulla specie del basilico?”. Questo esempio ci permette oggi di comprendere quanto il metodo artusiano e il suo lavoro abbiano offerto all’Italia un cibo non solo più cucinato ma anche e soprattutto raccontato.

Massimo Montanari, Presidente Comitato Scientifico Casa Artusi